Dolor y Gloria, a cuore aperto con Almodòvar

“Il cinema mi ha salvato”. A metà film, in una pièce teatrale, sono queste le parole pronunciate da Alberto Crespo, attore del cult Sabor di Salvador Mallo. Il monologo è stato scritto dallo stesso Mallo, che parla della sua addición (dipendenza) – il cinema. Dipendenza che verrà raccontata attraverso i ricordi dell’infanzia, gli odori delle sale all’aperto in estate, il primo vero amore a Madrid, quell’amore che non è riuscito a salvare. Un monologo a cuore aperto, onesto, senza filtri, a stretto contatto con il pubblico. Potrebbe essere riassunta così, con questa sequenza dal sapore malinconico, l’ultima fatica di Pedro Almodóvar, presentata al settantaduesimo festival di Cannes, Dolor y Gloria (qui il trailer).

Salvador, interpretato da un Antonio Banderas in grande spolvero, è un regista che sta attraversando una fase di crisi creativa, costellata da molti dolori fisici e dalla depressione. Le sue giornate trascorrono tra una dipendenza più “tangibile” e assuefacente – l’eroina – e la scrittura, per lo più di ricordi, di momenti passati, che tanto lo inseguono. Brevi appunti scritti: “dimenticare”, per fuggire dalle ferite ancora aperte del passato: non accettato e con cui non è mai sceso a patti. In questo fluire incontrollabile di sostanze e di ricordi Salvador (ri)troverà la gloria, la vita.

Almodóvar ci fa assaporare, lungo tutto il film, questi ricordi con quelli che sembrano essere dei flashback, dove spicca Penelope Cruz nei panni della giovane madre di Salvador. Sequenze dove il regista assume lo sguardo del suo protagonista, ci porta all’interno del ricordo, e con sinuosa grazia mette in scena, attraverso lenti movimenti di macchina e un sapiente uso del montaggio, momenti chiave dell’infanzia di Salvador.

LOtto e Mezzo di Almodóvar, è stato questo il titolo di non poche testate al seguito della presentazione del film in terra francese. Paragone poi rafforzato dal regista, che in conferenza stampa non ha tardato a definire il suo protagonista “il mio Mastroianni”. Uno spirito-guida che è servito al regista anche per distanziarsene, senza il bisogno di scadere in banali citazioni o rimandi in cui altri “autori” potrebbero incappare. Arrivato a più di quarant’anni di onorata carriera Pedrito sente il bisogno di tirare le somme e di ribadire quanto ami la settima arte. Almodóvar riesce ad esprimere, con la classe che lo ha contraddistinto negli anni precedenti, quelli che erano i suoi intenti, mettendosi a nudo ed emozionando, confrontandosi con la propria carriera ma soprattutto con se stesso. Un passato ricco sia di gioie che di ferite (forse, ancora aperte).

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