DEEPWATER – PETER BERG E LA SPETTACOLARIZZAZIONE DELLA CATASTROFE

Titolo originale: Deepwater

Regista:
Peter Berg

Anno:
2016

Durata:
107 minuti

Nazionalità:
Stati Uniti

Cast: 
Mark Wahlberg, Kurt Russell, Kate Hudson, John Malkovich, Gina Rodriguez e Dylan O’Brien

Categoria:
drammatico

Recensione breve:
Peter Berg
prova a giocare la mano della spettacolarizzazione della catastrofe con il suo ultimo film, Deepwater – Inferno sull’Oceano (Deepwater Horizon), il cui titolo originale tradisce il palese rimando alla tragedia della piattaforma petrolifera che, nel 2010, si incendiò nel Golfo del Messico provocando una immane catastrofe ambientale. Sostenuto da un cast “Made in USA” di tutto rilievo, capitanato da Mark Wahlberg e Kurt Russell – emblemi tradizionali dell’eroe virile nel cinema “testosteronico” americano di ieri e di oggi – e che vede anche Kate Hudson, John Malkovich, Gina Rodriguez e Dylan O’Brien duettare con loro, Berg accompagna lo spettatore proprio nell’occhio del ciclone, fin dentro il cuore del mostro: lo fa sfruttando le potenzialità del digitale, la maestosità della CGI, la possibilità di poter utilizzare un maestoso set da 1340 tonnellate d’acciaio che doveva ricostruire, nei minimi dettagli, la Deepwater originale; ma lo fa soprattutto orchestrando quella sinfonia d’emozioni che si rincorrono nelle parole, negli sguardi, nei silenzi e nelle azioni dei protagonisti: ogni attore era gravato dal fatto che improvvisare era impossibile, vista la Verità che tutti erano obbligati a dover ricercare – e ricreare – in scena.

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Undici vittime da commemorare, dei sopravvissuti pronti a visionare il set e a fornire il loro prezioso contributo dimostrano come il regista si sia posto come unico obiettivo la già citata ricerca della Verità, unita ad una voglia di giustizia e di denuncia sociale, la denuncia di un sistema malato e sbagliato (qui incarnato dai responsabili della compagnia petrolifera) che, con un errore, si è ritrovata a condannare innocenti vite umane: il risultato è un film puramente americano, dove la catastrofe (culturalmente, tanto cara al loro immaginario popolato da affascinanti frontiere da abbattere e nuovi spazi da conquistare, pioneristicamente) viene narrata, a livello visivo, con un piacere quasi voyeuristico, dove l’immagine si fa dettaglio e particolare minuzioso; gli effetti speciali e la CGI permettono di scrutare non solo nella pancia della balena, ma di ammirare la sua inquietante digestione, creando in tal modo un maestoso affresco dell’Inferno in terra, dettagliato ma con poca anima. L’approfondimento dei personaggi, umani troppo umani, viene ridotto al minimo e ognuno di loro diventa una pedina patinata da muovere seguendo gli assi cartesiani del “sistema Hollywood”.

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