Black Mirror, la quinta stagione

Black Mirror

Dopo il deludente esperimento interattivo Bandersnatch, Black Mirror, serie ideata da Charlie Brooker, cambia completamente rotta. Dimenticate quella concezione cinica, distopica e inquietante che da sempre l’aveva caratterizzata e resa famosa nel mondo: la quinta stagione propone una ventata totalmente nuova. Distribuita a partire dal 5 giugno su Netflix, questa stagione (qui il trailer) si rivela del tutto estranea, più ottimista e superficiale rispetto alle precedenti. Essenzialmente il problema di questi tre episodi – uno più stantio dell’altro – non riguarda solo le tematiche improntate sulla tecnologia come strumento di alienazione, distruzione e dipendenza – temi già insistentemente proposti in passato e qui nemmeno sufficientemente approfonditi – ma anche il percorso narrativo scelto. La sceneggiatura è molte debole e a volte tende a dimostrarsi illogica e poco sviluppata. 

Il primo episodio, Striking Vipers, si focalizza sul mondo della realtà virtuale nei videogiochi. Questa dimensione irreale viene sfruttata distintamente da due amici di vecchia data in modo perverso per simulare esperienze sessuali, fino a provocare nei due un distaccamento, una mancata percezione o meglio ancora un’apatia irreversibile verso l’autenticità del mondo reale. La pecca di questa storia, sebbene rappresenti l’unico episodio ben riuscito nel complesso, è la conclusione, fin troppo “comoda”. Non esiste un messaggio vero e proprio, i personaggi non avviano un percorso esistenziale, anzi, nella sceneggiatura viene tralasciato un elemento fondamentale della narrazione che doveva essere necessariamente analizzato: la disforia di genere. 

Smithereens, invece, propone un tema piuttosto vicino alla società contemporanea (differentemente dalle ambientazioni futuristiche da sempre proposte in Black Mirror), quello della crescente ossessione nei confronti dei social network. Nonostante la tanta carne al fuoco, l’episodio fallisce nell’approfondire dettagli particolarmente importanti della narrazione e opta invece per una banalità senza precedenti. 

L’ultimo episodio Rachel, Jack and Ashley Too, si focalizza sulla drammatica vita di una giovane pop star, Ashley O, prigioniera di una realtà che non la rappresenta (interpretata da Miley Cyrus) e simultaneamente sulla quotidianità delle due sorelle Rachel e Jack. Queste due plot nel corso dell’episodio vengono a congiungersi, con le due sorelle che si troveranno proprio ad aiutare la celebre cantante a sfuggire da un tragico epilogo. Nonostante questa storia proponga un interessante spunto di riflessione sulla parte oscura di ciò che riguarda la società dello spettacolo – come la definitiva sostituzione dell’uomo attraverso l’uso di un ologramma, l’appropriazione dei diritti di immagine dell’artista, lo sfruttamento, la manipolazione, lo stress fisico e mentale – alla fine l’episodio si distingue per i toni più leggeri, quasi da teen drama.

Complessivamente, questa stagione sembra non riuscire ad avvicinarsi minimamente al livello di episodi come Shut Up And Dance, National Anthem o San Junipero, andando a subire un netto calo. 

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