Better Call Saul, la recensione della quinta stagione su Netflix

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Tutto, in Better Call Saul (trailer), è già passato, è già accaduto. L’ormai canonico flash forward col quale si apre la quinta stagione è lì per ricordarcelo, con il suo bianco e nero struggente. Per questo c’è un sentore di destino nelle vicende della serie, di un’ineluttabilità che si fa sempre più stringente e pesante, come dei borsoni pieni di soldi (forse è proprio quel peso ad aver schiacciato El Camino). Così, la trasformazione di Jimmy McGill in Saul Goodman con la quale si chiudeva la quarta stagione, molto più che un mero cambiamento burocratico, aveva la forza epifanica di un segno profetico. Portava con sé la realizzazione che una sfera su un piano inclinato non può far altro che accelerare e proseguire nel suo percorso discendente.

Ora la sfera acquisisce velocità e nel farlo si avvicina sempre più agli avvenimenti di Breaking Bad. Questa vicinanza ha come effetto un crescendo di tensione, tra agguati, traversate del deserto e richieste sibilline (quel “tell me again” di Lalo, accompagnato dal suo sorriso sornione, fa venire i brividi a ripensarci) che tengono attaccati allo schermo. Ma il merito di questo ritrovato magnetismo (ormai è una certezza con Better Call Saul) è anche dell’andamento lento, composto, strisciante che ha avuto la serie nelle stagioni precedenti. Questa lentezza è riuscita donare allo spettatore un’intimità senza precedenti con i personaggi: conosciamo Jimmy, conosciamo Kim, conosciamo Mike e questo non fa che elevare all’ennesima potenza la tensione che si prova davanti ai rischi che corrono.

Tutto è però già successo in Better Call Saul. La strada su cui si sono immessi i personaggi è già stata percorsa. Così l’assenza di Kim e Nacho nelle vicende di Breaking Bad pesa come un macigno. Soprattutto per Kim, personaggio meraviglioso che reclama sempre più la centralità nella serie e che acquisisce definitivamente la consapevolezza di quanto la vicinanza di Jimmy la possa plasmare, cambiare, ma anche soddisfare. Forse è proprio questa soddisfazione che, accecandola, le impedisce di vedere quanto la strada di Saul differisca da quella di Jimmy, quanto sia più pericolosa. Pericolo del quale Nacho, invece, è conscio, e ciò aumenta la sua frenesia di uscire da un giro che si sta invece stringendo sempre più attorno a lui. È chiuso in una morsa che, per quanto possa dibattersi, per quanto possa essere aiutato da un Mike che sembra per un attimo dimenticarsi del suo cuore di pietra, è destinata solamente a stringersi.

Così, Better Call Saul avanza a ritmo sostenuto verso un finale di stagione che fin dal suo titolo, Something Unforgivable, sa di punto di non ritorno. La serie si lancia verso la sua ultima stagione promettendo tragicità e azione, lacrime e sangue, lasciando aperto, però, uno spiraglio per un’azione non già successa, non ancora inevitabile. Un possibile atto di redenzione che possa ridonare colore ad un mondo ormai spento: un atto di redenzione per il fu Jimmy McGill, ora Gene Takavic. Sicuramente, però, non per Saul Goodman.

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