1917, o il cinema come artificio

1917, o il cinema come artificio

1917 (trailer) è un buon film. Lo è abbastanza da non lasciare tiepido l’animo dello spettatore, non abbastanza, però, da mantenere le elevatissime aspettative montate oltreoceano. Sam Mendes con il suo lavoro ha già collezionato dieci nomination agli Oscar e la vittoria ai Golden Globes per il Miglior Film Drammatico e la Miglior Regia, ma il racconto di guerra che fa è viziato da un eccessivo manierismo che agisce più in nome delle parti che di un uniforme risultato finale.

1917 arriva e monta nell’interiorità di chi è seduto in sala, facendo apparire allo stesso tempo lo schiudersi dell’emozione come opera di un costrutto oltremodo artificioso. E’ un sentimento filtrato e passato attraverso differenti veli di plastica ritagliata appositamente perché il plasma emozionale giunga a quel voluto e preciso risultato finale. Lo fa, lo fa bene e questo è innegabile, ma rinuncia quasi del tutto alla naturalezza che è alla base del sorgere di quel sentimento, collaudando le sezioni del suo svolgersi perché premano i tasti giusti al momento giusto.

Non è di certo una condanna quella che si vuole muovere nei confronti di questa concezione dell’approccio realizzativo, ma la sfrontatezza tecnica è così sfacciatamente preponderante da non volersi curare delle a tratti difficoltose e meccaniche congiunzioni dei singoli elementi nel continuum filmico. Questo a partire dall’utilizzo della tecnica del falso piano sequenza che Mendes ha voluto per configurare la corsa contro il tempo dei caporale Schofield (George MacKay) e Blake (Dean-Charles Chapman), eternamente affascinante e leva nel richiamare una fruizione nella sala cinematografica. Un’esigenza registica che sfiora la dimensione del virtuosismo ma che in realtà trova il suo spazio giustificato ed adeguato, se non fosse che il suo stesso sussistere si manifesta non qualificante ai fini del regime narrativo.

1917, o il cinema come artificio

Come il film tutto, la scelta funziona e diviene inattaccabile (scansando alcuni momenti di raccordo piuttosto grezzi), rivelandosi comunque incanalata in un terreno già seminato che svolge il compito (ancora una volta, egregiamente) e nulla più. Si può dire che ciò è già abbastanza? Sì, certamente. Se ne accettano, comunque, delle conseguenze che accompagnano l’odissea tra il 6 e 7 aprile 1917 dei bellissimi e candidi volti dell’idealizzata “generazione perduta” di Schofield e Blake.

Non ci si può esimere dall’avvertire l’apparente eclisse del costrutto registico che scivola su crateri pieni di corpi semi-sepolti e macerie come un procedurale crepuscolo del crescendo emotivo. Si rimane costantemente vigili sul carattere finzionale del colpo di magia inferto dal film con la sua (quasi) unica sequenza, richiamando la necessità di suggellare un ulteriore patto di sangue e fanciullezza dopo quello stretto con il Diavolo del Cinema una volta accomodati sulla poltrona. E firmiamo di buon grado! Ma sappiamo anche di esserci venduti un altro pezzo di anima.

Così come quando 1917 vende l’essenza della sua integrità sull’altare della maestria e lascia salire in cattedra individui come Roger Deakins, sul quale genio è fatto talmente tanto affidamento da correre il rischio che questo sbilanci l’equilibrio e soverchi l’indice drammatico. Il recente premio Oscar con la sua fotografia ci fa dire solamente “wow”, donando ancora una volta un colpo visivo in più di un’occasione spettacolare, sfiorando vette che passano dal gotico all’espressionista e che suggellano, anche, la novella di una rinnovata natività nel calore di una fiamma sotterranea.

Nell’intento è aiutato da vicino dalle scenografie di Dennis Gassner (Blade Runner 2049), costruite con un’accuratezza e (paradossalmente) una pulizia che sembrano volersi configurare esattamente come la proiezione emotiva e tri-dimensionale di quel flusso incanalato che Mendes vuole indirizzare dove lui ha deciso. E’ lo sfondo, la quinta che si manifesta come contenuto e sfoggia i segni del passaggio di un’umanità battezzata nel sangue e nel fango, attraverso i quali 1917 fa un affresco michelangiolesco della WW1.

1917, o il cinema come artificio

Siamo qui a ribadire, ancora una volta, che ci riesce appieno e senza avere riserve sulla qualità complessiva. Il film si esalta maggiormente nell’esporre i singoli tasselli più che nell’assemblare il mosaico, scegliendo di percorrere con massima chiarezza di intenti il sentiero del cinema come artificio. Allo stesso tempo decide di porre come contraltare al montaggio invisibile il picco emozionale indirizzato e alimentato con estrema accuratezza dal lavoro certosino di chi fa industria il suo mestiere. Probabilmente ne esce indebolito l’esile nervo della genuinità che in 1917 trova con difficoltà spazio in un tessuto prettamente muscolare, ma non per questo, al netto del gusto individuale, meno meritevole di essere apprezzato.

1917 sarà nei cinema a partire dal 23 gennaio

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